Outside - Testo: Sonia Borsato

(Asinara, ex colonia penale, carcere di massima sicurezza).

L'Asinara è un posto inclemente. Fatto di opposti taglienti.

Uno spazio dove il tempo sembra essersi arenato allentando il concetto stesso di fisicità.

Come se la percezione di quello che siamo - come lo siamo nel microcosmo che ci siamo costruiti - si sbriciolasse in mancanza di ombra, fisica ma anche metaforica.

Un posto selvaggio usato per la cattività.

Una doppia prigionia, di chi è detenuto ma anche di chi detiene, alla fine.

Il senso rotondo del non poter scappare.

E non solo per limiti fisici ma anche mentali.

Essere prigionieri di se stessi.

Gli opposti. Che non trovano pace.

Il senso del guardare - e del sentire - che trasuda da questi scatti è tutto in questo doppio passo: l'andare e il restare. O meglio, il voler scappare ma l'esser trattenuti.

Si alternano vicinanze e fughe prospettiche, particolari e orizzonti a riprendere fiato.

Dell'uomo solo una cronaca decadente, accenni di architettura inseriti in una natura indifferente, potente e struggente che domina, nostro malgrado, sensi e immaginazione.

E mentre resta nella memoria quello che è stato - la cattività, la carne reclusa, l'isolamento subito, il confronto forzato con se stessi - lo sguardo fugge lontano, segue traiettorie interiori che riportano al mondo, conosciuto o forse solo sognato.

Su tutto domina una luce implacabile, netta, calda, impietosa che mette davanti limiti fisici e mentali.

“Sia fatta la luce...” e fu il creato tutto e l'uomo, qui ridotto a una dimensione di sudditanza, a riscoprire leggi non scritte ma ora sentite a livello epidermico.

Non concede niente, l'Asinara. É un racconto in assenza, il discernimento tra giusto e sbagliato, tra artefatto e semplicità.

Non concede nulla ma ti restituisce a te stesso, dopo averti consumato con la sua luce.

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