"Eutanasìa", in greco antico, significa letteralmente buona morte. E' il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica non più sostenibile.
Qualsiasi forma di eutanasìa rimane in Italia strettamente illegale.
Silvio Berlusconi, presidente del consiglio all'epoca del caso di Eluana Englaro, dichiarò:
«Eluana è una persona viva, respira, le sue cellule cerebrali sono vive e potrebbe in ipotesi fare anche dei figli. È necessario ogni sforzo per non farla morire».
Alcuni attivisti pro-vita, mentre un’ambulanza portava via Eluana per essere ricoverata in una casa di cura friulana in attesa di togliere il sondino dell’alimentazione, urlarono:
“Eluana svegliati, ti vogliono uccidere!”.
Eluana Englaro, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni.
Il senatore Carlo Giovanardi, a proposito della discussione sull'eutanasia da parte dell'Olanda, dichiarò:
«La legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo, per esempio in Olanda, attraverso l'eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie. Da noi un bambino malato viene curato, in Olanda invece viene ucciso».
Riguardo al caso di Piergiorgio Welby, l'allora ministro della famiglia Rosy Bindi dichiarò:
«Il caso di Piergiorgio Welby non può non provocare comprensione e compassione, ma non vi sono gli estremi per fare quello che lui chiede. Nella nostra legislazione non è regolamentata l'eutanasia e per quanto mi riguarda non dovrebbe mai esservi inserita».
Piergiorgio Welby era affetto da distrofia muscolare progressiva dall'età di 16 anni che, nello stadio finale, gli negò l'uso della parola, dei movimenti e lo costrinse a stare immobile a letto sempre a mente lucida.
"Mortificàre": ridurre a stato di morte, rendere insensibile. Reprimere il vigore, i sensi, le passioni. Macerare il corpo con digiuni e penitenze. Attristare, domare, umiliare, avvilire.
Miṡerère: voce latina, seconda persona singolare dell’imperativo di "misereri", "abbi pietà".
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Questa è la storia di Luigi, un uomo per bene affetto da sla, la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia degenerativa che colpisce le cellule cerebrali addette al controllo dei muscoli. Questo tipo di malattia annienta lentamente e inesorabilmente chi ne viene colpito e così è stato per signor Luigi, costretto dentro un corpo diventato col tempo l'involucro del suo silenzio.
Ho sempre avuto il terrore delle malattie degenerative, forse è questo che mi ha spinto a cercare signor Luigi e chiedergli se potevo raccontare la sua storia, forse era un modo per esorcizzare la paura. O forse, come gli ho manifestato, volevo raccontare la sua storia per aiutarlo nella sua battaglia silenziosa per il fine vita.
In effetti, mentre scattavo timidamente qualche fotografia, lo guardavo e mi continuavo a chiedere perché in Italia non vi fosse una legge che permettesse in casi simili di potersi "disfare" dell'involucro e lasciare finalmente libera la propria anima.
Non sono mai riuscito a finire questa storia fotografica, però alla fine ho realmente capito che davanti a chi è affetto da una tragedia simile, tutti dovrebbero spogliarsi di ogni convenzione sociale, fede religiosa, credo politico e ideologie e lasciarsi ispirare dall'unico sentimento possibile: la pietà umana.
L'anima di signor Luigi si è elevata l'8 luglio 2016.
P.s: grazie a Luigi ho capito la difficoltà di fare fotografia sociale. Riuscire a raccontare fotograficamente una storia del genere presuppone che il fotografo disponga di una capacità di distacco da ciò che vede che purtroppo a me è mancata.
Improvvisamente smisi di andare a casa sua, non ci riuscivo, stavo male ogni volta che varcavo la porta d'ingresso. Il progetto si concluse bruscamente e decisi di chiudere in un cassetto tutte le foto che avevo fatto e di non aprirlo più.
Recentemente la moglie Gina mi ha contattato chiedendomi di farle avere tutte le foto ed è così che le ho riprese in mano dopo tanto tempo.
Ho deciso di pubblicarle anche se la storia è mal composta, incompleta e non proprio come l'avrei voluta raccontare io.

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